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Work-life balance e digitale: quale rapporto

Come si fa a migliorare la qualità della nostra vita in rapporto al digitale? Teniamo conto del work-life balance nella scelta delle tecnologie?

Sono 777mila le dimissioni volontarie a tempo indeterminato registrate nei primi 10 mesi del 2021 dal Ministero del Lavoro. 40mila in più rispetto a due anni prima.

Numeri ancora lontani dal fenomeno americano della Big Quit o Great Resignation, le “grandi dimissioni” che stanno interessando il mercato del lavoro statunitense, ma che sicuramente spingono alla riflessione. Le fasce d’età maggiormente coinvolte sono state quelle più giovani, Millennials e Generazione Z. Cosa sta succedendo?

Questa scelta, per certi versi, è figlia della pandemia. Confinati tra le mura domestiche, molti lavoratori sono stati costretti a rivedere il valore esistenziale del loro lavoro e questo ha scatenato il desiderio di una vita diversa, più flessibile e attenta al proprio benessere psicofisico. In particolar modo hanno sperimentato che buona parte del loro contributo poteva essere “remotizzato”.

Di conseguenza sono sempre di più le persone che cercano in generale una migliore qualità di vita e più tempo per sé, che sfocia nella ricerca di tipi di lavoro e forme di impiego che assicurano un miglior work life balance.

Infatti, chi ha lavorato da remoto negli ultimi due anni si è accorto che potevano sparire alcuni tempi morti (lo spostamento casa-lavoro ad esempio), da reimpiegare in momenti creativi spesso trascurati.

Il work-life balance assente: l’essere stravolti

Allo stesso tempo abbiamo assistito all’altra faccia della medaglia: la digitalizzazione è venuta in supporto alle necessità lavorative da distanza ma ha anche creato nuove situazioni destabilizzanti. Una tra queste è la raggiungibilità: essere sempre connessi e quindi raggiungibili mette il dipendente nelle condizioni di non poter staccare mai. Il work-life balance ne esce penalizzato.

A questo proposito sono molto illuminanti le riflessioni dell’imprenditore Brunello Cucinelli: in uno dei suoi interventi di presentazione della fabbrica del futuro ha spiegato come la tecnologia ci permetta sì di lavorare in qualunque luogo ma allo stesso tempo ci ha derubati della concentrazione.

Ci troviamo in una condizione di info-obesity, in un eccesso di stimoli. Centinaia di mail al giorno, decine di meeting online pianificati, tutto è diventato urgente… la connessione continua crea un tasso di deconcentrazione altissimo. Il dipendente è continuamente interrotto e la creatività ne risente.

Secondo Cucinelli, disconnettersi è da lavoratori responsabili e il vero imprenditore deve occuparsi di migliorare la gestione del tempo collettiva. Nella sua azienda, infatti, da tempo l’imprenditore umbro ha introdotto nuovi parametri innovativi: niente più mail e interruzioni continue. Se una cosa è urgente si fa una telefonata o si passa in ufficio dai colleghi. L’orario di lavoro si limita a 8 ore al giorno perché secondo Einstein nessuno può mantenere la concentrazione per più di sei ore al giorno.

Quindi serate lavorative non esistono e il weekend deve essere libero. «Dobbiamo concentrare il nostro orario di lavoro» afferma «senza uscire stravolti. Abbiamo bisogno di riequilibrarci, di lavorare ma anche di vivere la nostra vita».

È inutile lavorare 12, 13 ma anche 17 ore al giorno se il 30% del tempo dedicato al lavoro si perde in niente perché viene bruciato in social o in attività interruttive.

La tecnologia per il work-life balance, bene o male?

Quindi, come dobbiamo considerare la tecnologia in relazione al work-life balance e alla qualità della vita? Per prima cosa, la tecnologia è un potente abilitatore del lavoro agile. I datori di lavoro possono ridurre lo “sfastidio” promuovendo flessibilità oraria e smart working, per garantire un miglior equilibrio vita-lavoro.

Ma anche qui le realtà che sono realmente “agili” sono davvero poche, perché non sono in grado di abilitare velocemente postazioni da remoto sicure (le minacce sono molte, ne parliamo qui) o di offrire supporto ai dipendenti in caso di malfunzionamenti. Quindi è richiesta una profonda riorganizzazione del lavoro, a partire dall’azienda stessa.

In WEGG affermiamo che il Work From Anywhere è il primo passo per la trasformazione digitale. Ma solo il primo, bisogna partire dalle persone e disegnare la tecnologia sui loro bisogni. In questo percorso bisogna anche misurare da vicino gli effetti della digitalizzazione: il fatto di poter gestire centralmente tutti i device con cui i dipendenti lavorano permette non solo di predisporli al lavoro agile, ma anche di aiutarli a disconnettersi.

Un simile sistema, ad esempio, favorisce l’applicazione di policy per la sicurezza ma anche per una migliore gestione del tempo, evitando che il dipendente sia continuamente interrotto da notifiche mentre è impegnato in attività creative.

Se vogliamo metterla sul piano del business, un dipendente sereno produce di più e meglio.

*L’articolo, a firma Camilla Bottin, è stato originariamente pubblicato su Catobium – Il Magazine dei Writers di Catobi. 

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