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Process Mapping: perché dobbiamo fare una radiografia dei processi aziendali

Il Process Mapping è la base di partenza per migliori prestazioni di business

Mi piace pensare ai processi come a “strutture ripetitive per l’azione”.  

A differenza dei progetti, che sono eventi unici con una data di inizio e una fine, i processi sono un insieme di attività lavorative che si ripetono nel tempo e nello spazio, sulla base di input ed output definiti.  

All’interno di questi input ed output, possiamo distinguere tra fornitori (chi o cosa fornisce l’input per il processo) e clienti (il destinatario dell’output), che possono essere interni od esterni. Pensiamo alla differenza tra i processi di customer service e di assunzione del personale: i primi servono clienti esterni, i secondi clienti interni (altri processi dell’organizzazione). L’obiettivo ultimo del processo è la soddisfazione delle esigenze del proprio cliente, secondo la filosofia “catena cliente-fornitore”.  

La conoscenza della propria organizzazione procedurale (ovvero il come un’organizzazione lavora) è alla base della gestione della qualità (es. la ISO 9001 richiede una formalizzazione dei processi che hanno un impatto sulla qualità del prodotto/servizio), ma anche delle principali norme in ambito gestionale (es. la ISO 14001 per la gestione ambientale o OHSAS 18001 per la gestione della sicurezza e salute sul posto di lavoro). Il focus sul come può diventare la base anche per definire l’organizzazione strutturale (chi si occupa di cosa).  

Così come spiegato nel libro di Gandolfi, Bortoletto e Frigo-Mosca, il Process Mapping, ovvero la descrizione dettagliata dei propri processi, deve essere il punto di partenza per una vera gestione dei processi (BPM). Il fatto stesso di descrivere in modo dettagliato i processi aiuta, infatti, ad evidenziare le lacune, le inefficienze, i doppioni organizzativi, le incongruenze ecc, in modo da poterli reingegnerizzare.

Nelle aziende solitamente si possono distinguere tre tipologie (o famiglie di processi):  

  • Processi di management: ovvero di governance, tutti quelli con cui la direzione guida e orienta le attività e la struttura dell’organizzazione, sia a livello strategico sia a livello operativo
  • Processi chiave (o di business): che sono quelli con cui l’organizzazione genera il valore aggiunto (quello per cui il cliente finale è disposto a pagare)
  • Processi di gestione delle risorse (o di supporto): sono quelli che mettono a disposizione del resto dell’organizzazione le strutture e le risorse (umane, finanziarie, materiali, tecnologiche ecc.) necessarie al suo funzionamento. Pensiamo ai processi di funzioni aziendali come HR, AFC, IT ecc. 


La cosa interessante dei processi di gestione delle risorse (o di supporto), che si riferiscono a tutta l’organizzazione, è la relazione output-input con i processi chiave dell’azienda: l’output dei loro processi diventa l’input per i processi chiave. Pensiamo ai servizi IT: senza di essi, il funzionamento stesso dell’azienda è a rischio.  

Nell’ambito del Process Management, le aziende tendono però a concentrarsi sui loro processi di management e di business, tralasciando invece i processi di supporto e quindi hanno solo una radiografia parziale per vedere dietro le quinte del loro grande teatro organizzativo.  

Come consulenti, ci occupiamo soprattutto di fare radiografie dei processi di supporto per conoscerli, strutturarli e ottimizzarli e il primo passo è sicuramente il Process Mapping. Tramite intervista, raccogliamo le informazioni per organizzarle in un flow chart o diagramma di flusso (con il supporto di strumenti di visualizzazione come Microsoft Visio).

In particolare, usiamo diagrammi inter-funzionali: vediamo il flusso di lavoro attraverso le unità funzionali coinvolte. Un processo di supporto, infatti, spesso non è riferito solo al settore di riferimento, ma richiede la collaborazione di altre funzioni aziendali o degli strumenti di altre funzioni aziendali. Il gestionale, ad esempio, potrebbe essere in carico ad AFC ma rappresenta l’input per altri processi di supporto. 

In questo modo, disegnando (sotto una mappa dei simboli che si possono usare), vediamo immediatamente dove (e quante volte) gli attori dei processi sono coinvolti nel flusso delle attività e così pure i pattern di interazione tra i diversi attori. Dove si biforcano, ad esempio, può essere secondo la modalità OR (o uno o l’altro) o secondo la modalità AND (le attività si eseguono in parallelo). 

A corredo di questa rappresentazione, non devono mancare:  

1) le indicazioni sul flusso dei dati/informazioni (data flow diagram): accanto al flusso temporale/logico delle attività, individuiamo anche il flusso di dati e di supporti cartacei/informatici utilizzati per svolgere ogni singola attività.

2) Il posizionamento dei diversi indicatori di performance: dobbiamo inserire gli indicatori usati per misurare ogni processo  

Il diagramma inter-funzionale è il primo passo per l’analisi dei processi (lo step successivo in ambito BPM) perché permette di identificare flussi tortuosi e poco razionali, continui passaggi tra reparti e interfacce. Ma anche per capire quali processi sono misurati: gli indicatori sono bilanciati? Sono concentrati su pochi processi? L’assegnazione degli indicatori tralascia processi fondamentali?

In particolar modo ci concentriamo sui processi di supporto, perché sono strettamente correlati alla riuscita dei processi chiave, su cui si regge il business dell’azienda. Noi partiamo dal Process Mapping: descriviamo i processi per poi analizzarli, ridisegnarli e infine… trasformarli, con il supporto della tecnologia. La nostra consulenza attraversa tutte le fasi del percorso di Business Process Management, ma – contrariamente a quanto si pensa (siamo consulenti IT!) – la tecnologia scende in campo solo quando siamo davanti alla porta, pronti per il goal decisivo… ovvero quando si parla di Process Transformation.  

 La tecnologia, infatti, diventa solo un modo per lavorare meglio: i flussi ri-disegnati dall’analisi consulenziale vengono trasposti su uno strumento in grado di standardizzarli, misurarli e ottimizzarli.

 

Articolo a firma di Francesco Clabot, CTO di WEGG e docente di ITSM all’Università di Padova

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