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Digital Experience: come si misura?

Come si fa a capire se i nostri utenti stanno vivendo una buona Digital Experience? Come si fa a misurarla?

Saranno almeno cinque i giorni al mese di lavoro da remoto, secondo la società Global Workplace Analytics: entro il 2025, per oltre il 70% della forza lavoro, l’ibridazione sarà il new normal. Dipendenti collocati nello stesso spazio fisico (l’ufficio) collaboreranno con altri che lavorano da remoto.

Una soluzione che concilia i benefici del lavoro a distanza (flessibilità, maggior soddisfazione dei dipendenti, ottimizzazione dei costi, inquinamento ridotto) con i punti di forza del lavoro in presenza, come il networking, la socializzazione, la maggiore creatività dovuta al coordinamento e alla collaborazione faccia a faccia.

Ma l’ibridazione, se non gestita bene, crea differenze all’interno dei team che possono danneggiare le relazioni, impedire una collaborazione efficace e ridurre le prestazioni. Pensiamo all’accesso alle risorse in ufficio, facilitato da tecnologie e infrastrutture ad hoc per supportare il lavoro. E pensiamo alla stessa situazione da remoto: livelli di visibilità ridottiinfrastrutture inefficienti, tecnologie non adeguate. Il tutto mentre le stesse persone devono collaborare insieme, con uno svantaggio che pesa come un macigno su chi non è presente.

Come fanno le organizzazioni a capire se i propri dipendenti stanno vivendo un’esperienza digitale soddisfacente, alla pari con l’ufficio?

La convergenza di tre fattori

Una buona esperienza digitale si fonda su tre fattori determinanti:

1) produttività

2) sicurezza

3) servizio

Per dirla con la terminologia IT, si auspica una convergenza tra UEM (Unified Endpoint Management), Security e IT Service Management. Ovvero la gestione dei device, la gestione della sicurezza dei device e la gestione dei servizi IT. Cosa si intende?

1) Il device deve essere gestito in modo tale da prevenire eventuali blocchi alla produttività, quindi essere configurato correttamente ed essere continuamente oggetto di screening, per cogliere i segnali e risolverli prima che impattino sull’utente. Parliamo di situazioni legate alla sua configurazione, agli applicativi installati (aggiornamenti ecc.), alle prestazioni del dispositivo (spazio disco, memoria, batteria ecc.) e alla sua connettività. L’utente soddisfatto è quello che non si accorge di nulla, dato che la prevenzione dei malfunzionamenti dovrebbe evitare di bloccarlo nella sua operatività. La difficoltà è però riuscire a monitorare e intervenire in tempo, considerando le migliaia di device gestiti dall’intera azienda e garantire un’esperienza coerente tra di essi.

2) Il device deve essere protetto, ovvero tutelato dai potenziali rischi alla sicurezza, come possono esserlo applicativi con vulnerabilità non gestite o non più supportati, situazioni non conformi, minacce esterne (software malevolo, phising ecc.), accessi e reti non verificate. Se si dovesse verificare un attacco hacker o interruzioni per sistemi non aggiornati, l’utente sarebbe il primo a pagarne le conseguenze: non può lavorare e accedere ai dati aziendali.

3) Per garantire uno standard alto di servizi IT, sicurezza e connettività, l’utente deve poter richiedere la risoluzione tempestiva dei problemi relativi ai device utilizzati, in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo. Deve poter avanzare richieste in modo semplice e avere dall’altra parte personale in grado di identificare in tempo reale il problema e il suo contesto e di intervenire subito, con funzioni di controllo remoto.

La situazione reale

Nella maggior parte delle aziende, manca però un sistema di gestione centralizzato che metta in relazione questi tre diversi fattori. Come fanno a misurare l’esperienza digitale vissuta? I team di Service Desk solitamente ricorrono a sondaggi per misurare la soddisfazione degli utenti, ma sono tardivi o limitati negli scopi. Oppure si calcola il tempo medio di risoluzione dei ticket, ma sono metriche che non tengono conto di altri fattori — gestione e sicurezza — che spesso sono in carico ad altri team IT.

In conclusione, non si riesce ad avere una visione d’insieme dell’esperienza vissuta dai dipendenti mentre lavorano da remoto.

Come risolverla: il Digital Experience Score (DEX)

La soluzione è quindi ricorrere a un sistema di controllo in grado di integrare questi tre aspetti — gestione, sicurezza, servizi IT — in una sola piattaforma e sfruttare l’AI per mettere in correlazione i diversi indicatori.

Si potrebbe quindi ottenere un Digital Experience Score (DEX) per una visione olistica e approfondita dell’esperienza vissuta dalla persona, attraverso i dispositivi, i sistemi operativi e le applicazioni utilizzate. Si possono impostare delle soglie di criticità, da 0 a 100. Ad esempio, un punteggio 0–35 potrebbe essere sintomo di una scarsa esperienza, da 35 a 75 potrebbe indicare un’esperienza migliorabile, dai 75 in su buona.

Aggregare i dati della gestione dei servizi IT, della gestione dei dispositivi e della postura di sicurezza faciliterebbe anche la scalabilità dei team IT: il rilevamento dei potenziali problemi permetterebbe di codificare le azioni di intervento e automatizzarle con il supporto di AI e bot.

Pensiamo a modelli statistici che analizzano lo storico dati di gestione per identificare comportamenti anomali oppure a processi di data mining che mettendo in relazione gli indicatori forniscono raccomandazioni in base all’urgenza misurata.

L’attenzione a questa tematica permetterebbe di mettere sullo stesso piano i dipendenti che lavorano in ufficio e da remoto e renderebbe la loro collaborazione efficace.

*This article, by Camilla Bottin, was originally published in Catobium – The Magazine of the Catobi Writers. 

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