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Digitalizzare i processi porta a prendere decisioni migliori

Come aiutare le persone a combattere l’effetto framing

Perché dobbiamo creare dei sistemi che aiutano il nostro cervello a operare senza l’effetto framing in favore di un’oggettività che già è stata predisposta per essere razionale ed efficace.

Le persone prendono decisioni ogni giorno.

Secondo la teoria della scelta razionale, chi decide cerca di trarre dal suo comportamento una qualche sorta di beneficio: ottenere un risultato positivo o comunque evitare un risultato negativo. In breve, si cerca di massimizzare il valore della funzione di utilità attesa: la decisione è il frutto di valutazione di grandezze ottenute matematicamente (a me piace chiamarle “percentuali di successo”).

Tutto molto bello fin qui: peccato che le persone possano comportarsi in modo non razionale. Ci sono delle inferenze logiche-deduttive che portano le persone a fare scelte non razionali: si chiama “effetto framing” ed è stato studiato per la prima volta da Kahneman e Tversky negli anni Ottanta.

Secondo tale fenomeno, il nostro cervello opera scelte in maniera condizionata per via di alcuni elementi di contesto che ci vengono offerti da esperienza, conoscenze pregresse, abitudini, dal modo in cui li formuliamo o in cui ci vengono sottoposti i problemi.

Di recente, ho avuto occasione di conoscere l’economia cognitiva grazie a un agile manuale di Alessandro Innocenti: a differenza dell’economia comportamentale che parte dalle scelte compiute per ricavare le preferenze degli individui con un processo di induzione all’indietro, l’economia cognitiva si propone di analizzare i processi mentali che danno origine alle preferenze e sulla base di queste analisi ricostruire come si prendono le decisioni.

Il nostro cervello si modifica costantemente e irreversibilmente durante i processi di sollecitazione alle reazioni esterne, modificando l’efficienza nello svolgimento dei propri compiti. I processi cognitivi sono differenziati da persona a persona e dipendono dal contesto materiale e istituzionale.

L’effetto framing nei processi aziendali

A questo nostro frame cognitivo non si sottrae di certo il modo in cui vediamo il sistema azienda, con particolare riferimento a quel suo sottoinsieme fatto di risorse, strumenti, comportamenti e azioni che chiamiamo con il nome di “processi aziendali”.

Visto che il contesto è determinante, è fondamentale capire come sono organizzati i processi per sapere come vengono presentate le decisioni. È chiaro, infatti, che il modo in cui si comportano le persone dipende da come i loro problemi decisionali sono stati “incorniciati” (da framing).

Ma molto spesso assistiamo a una destrutturazione tale per cui le informazioni di input dei processi aziendali risentono dei “frame” cognitivi delle persone che li forniscono: mi riferisco agli scambi di mail, alle telefonate… una situazione in cui “Io sono responsabile di quello che dico, non di quello che capisci”.

Per quanto ci siano delle linee guida in tutte le organizzazioni, il frame cognitivo è sempre lì, pronto a influenzare la presa di decisioni che riguardano il modo in cui vengono svolte le attività che sovrintendono i processi, con il risultato di condizionare l’output finale.

La digitalizzazione può venirci in aiuto

Il digitale può fare molto per aiutare: il processo può essere strutturato all’interno di una piattaforma digitale in modo da gestire in modo standard le richieste.

Pensiamo a un form specifico: la persona è vincolata all’inserimento di campi. Ci sono dei requisiti ben precisi di obbligatorietà all’interno di una lista di valori definiti che aiutano chi poi dovrà prendere in carico il processo ad operare nel modo più conforme (diciamo razionale) per quella richiesta.

Pensiamo alla richiesta di servizi in qualsiasi ambito ad esempio: al posto di confuse mail da parte dell’utente, l’operatore si trova ad aver a che fare con input strutturati che possono eventualmente essere anche automatizzati con il supporto di bot o assistenti digitali.

Ma la digitalizzazione dopo tutto è la parte più facile: basta prendere la tecnologia e configurarla per il flusso che vogliamo. Quello che richiede competenza è definire il flusso attraverso il quale la funzione aziendale gestisce le richieste di processo da parte dei propri utenti.

È qui che entra il gioco il valore della consulenza: eliminare questo elemento di discrezionalità dai processi e individuare la scelta più “razionale”. Quella che massimizza l’utilità attesa: l’utente vuole ottenere nel minor tempo il risultato richiesto.

Senza entrare troppo nel merito del dibattito, nel Service Management è fondamentale analizzare questi flussi per identificare il percorso migliore sia lato utente sia lato Operations. Ridurre la complessità è la strategia più efficace per aiutare il nostro cervello ad operare.

Articolo a firma di Francesco Clabot, CTO di WEGG e docente di ITSM all’Università di Padova

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