Perché la resistenza al cambiamento è così forte? Come possono le aziende semplificare l’adozione del digitale e creare l’abitudine all’innovazione?
Il cambiamento è l’unica costante della nostra vita. Questo è certo.
Basta pensare al nostro cervello che si rigenera introducendo quotidianamente nuovi neuroni nei circuiti cerebrali. Si verifica una riorganizzazione continua delle connessioni interneuronali e pare che le nuove cellule siano determinanti nel legare l’esperienza quotidiana alla memoria.
Ma se il nostro cervello per primo è un organo deputato al cambiamento, perché nelle aziende quando si parla di innovazione il cambiamento è così difficile e la resistenza nelle persone è così forte? In realtà, si dice di voler cambiare ma allo stesso tempo si vorrebbe restare uguali o fare le stesse cose. È una dicotomia che genera resistenza, soprattutto a livello inconscio.
Molte organizzazioni stanno avvertendo l’urgenza di digitalizzarsi, per essere più flessibili ai cambiamenti del mercato. Si stimano tempi, costi e impatti di progetti, si pianificano implementazioni, si studiano integrazioni tra tecnologie. Vengono ipotizzati tutti gli scenari evolutivi sulle infrastrutture esistenti per poter risolvere rapidamente eventuali incidenti o problemi. Ma viene tralasciato l’aspetto più importante, quello umano.
L’adozione di una nuova tecnologia può essere frenata proprio dalle resistenze di chi dovrebbe usarla. Funzioni mai esplorate, dashboard vuote, relazioni tra dati mai applicate, preferenza per il cartaceo o per i processi fisici… I casi possono essere molteplici.
Si può ridurre la resistenza al cambiamento?
Di recente ho letto “Atomic Habits” di James Clear (in italiano “Piccole abitudini per grandi cambiamenti”). L’autore, che è riconosciuto come uno dei massimi guru sul tema, spiega che il cambiamento parte dall’ideale di persona che si vorrebbe essere e lo si costruisce giorno per giorno facendo piccole scelte che ti portano verso questa direzione.
A questo proposito fa l’esempio di un aereo che decolla per raggiungere la propria destinazione. Poco dopo la sua partenza, la rotta viene modificata di qualche grado. Si tratta di una deviazione di pochi metri di differenza.
Ma, così facendo, l’aereo che da Los Angeles era diretto a New York in realtà arriva a Washington, 400 km a nord. Potrebbe sembrare una modifica ininfluente in partenza, ma a dire il vero cambia completamente la destinazione del viaggio. La cambia di 400 km.Nel libro seguono poi una serie di regole pratiche per modificare le proprie abitudini in modo efficace e senza troppa fatica. Clear parla di singoli, ma io mi sono chiesta se possono essere applicate anche a un contesto di innovazione aziendale. La risposta è sì e ora vi spiego perché.
Le regole pratiche per costruire buone abitudini
La prima regola citata da Clear è “Rendi le nuove abitudini chiare e ovvie”. Secondo lui, l’ideale sarebbe associare le nuove abitudini ad azioni già presenti nella routine personale. In questo modo sarà più facile l’inserimento dei nuovi comportamenti.
Un progetto di trasformazione digitale dovrebbe studiare il comportamento delle persone coinvolte, per migliorare loro la vita. Quali azioni compiono per raggiungere quali obiettivi lavorativi? Tenendo conto degli obiettivi, interveniamo sui processi innescati, rivedendoli in modo che le persone possano raggiungere più facilmente i loro traguardi.
In questo modo sarà più facile associare i processi ottimizzati con l’aiuto della tecnologia al raggiungimento degli obiettivi. Le persone devono percepire l’utilità dei cambiamenti, per credere che gli sforzi siano necessari. Talmente necessari da essere ovvi.
La seconda regola di Clear è “Rendi le nuove abitudini allettanti”. A questo proposito cita la dopamina, l’ormone del piacere. Più un’attività è allettante, più è probabile che siamo disposti e invogliati a ripeterla. È per questo che non possiamo non considerare la centralità della user experience quando andiamo a proporre una nuova tecnologia. Percorsi guidati, interfacce intuitive, navigazione semplificata… tutti questi elementi possono invogliare all’adozione di uno strumento digitale e abituare le persone a usufruirne.
Dobbiamo tenere presente che il digital divide è ancora molto elevato, per cui è importante rendere la digitalizzazione accessibile a tutti i livelli e le competenze digitali.
La terza regola di Clear è “Rendi le nuove abitudini facili”. Secondo lui la chiave nel creare nuove abitudini o modificare quelle esistenti sta nella ripetizione. Per ripetizione intende non tanto il tempo per cui si ripete un’azione, ma il numero di volte per cui la si ripete. Ciò implica che lo sforzo per farla deve essere ridotto. Eseguirla non deve essere impegnativo.
Tutto quello che può essere fatto per facilitare le persone deve essere applicato: coinvolgimento fin dall’inizio nel progetto, pubblicità, training, condivisione di best practices ecc. La digitalizzazione non deve essere calata dall’alto, ma guidata in modo trasparente, in modo da non essere percepita come uno sforzo aggiuntivo rispetto ai compiti lavorativi.
Infine, l’ultima regola è “Rendi le nuove abitudini gratificanti”. Raggiungere piccoli traguardi è più motivante per il perseguimento dei prossimi.
Se parliamo di digitalizzazione, la possibilità di tenere traccia in tempo reale di alcuni piccoli indicatori di miglioramento (es. tempo lavorativo risparmiato, aumento del numero di ordini gestiti ecc.) porterà le persone a voler alzare sempre di più l’asticella, per ottenere risultati sempre migliori.
Resistenza al cambiamento: il mindset giusto
All’inizio abbiamo detto che il cambiamento parte dall’ideale di persona che si vorrebbe essere, che in questo caso è quello di persona innovativa in un’azienda innovativa.
Il poco sforzo richiesto per avvicinarsi alle nuove tecnologie e i massimi benefici raggiunti generanno in maniera naturale nelle persone un mindset di innovazione continua, fino a creare nell’intera organizzazione un senso di urgenza per tendere sempre di più all’ideale. Senza alcuna resistenza al cambiamento.