Qual è il rapporto tra il digitale e l’internazionalizzazione delle imprese? In che modo può standardizzare i processi?
Il digitale e l’internazionalizzazione delle imprese: è un fine o un mezzo ?
Partiamo dal concetto di distanza psichica. Forse è un termine che avrete già sentito, visto che è centrale nella letteratura di International Business. È quella tendenza che porta le aziende che si espandono in nuovi mercati a scegliere paesi che sono “psichicamente” vicini, ovvero possiedono quei requisiti chiave (lingua, vicinanza geografica, legami storico-culturali ecc.) che fanno presupporre un successo “più sicuro”.
Con l’ingresso del digitale nelle strategie di internazionalizzazione, le carte in tavola sono cambiate un po’.
I nuovi mercati, che prima sembravano lontani, ora sembrano vicinissimi… quasi a portata di click. Questo ha innescato nelle aziende l’idea di potersi muovere in un mercato virtuale uniforme e privo di confini. Certo, in parte è vero, perché il digitale riduce le barriere geografiche. Però c’è anche il rischio di generalizzazione e di eccesso di semplificazione: lo spiega molto bene nel suo articolo il professor Diego Campagnolo, docente di Business Organization&Strategy all’UniPd e direttore scientifico MBA Imprenditori al CUOA.
Questo rischio è detto “virtuality trap” e si basa proprio sul paradosso della distanza psichica (Yamin&Sinkovics 2006–7). Con la riduzione delle distanze grazie al virtuale, le organizzazioni tendono a credere che ciò che ha funzionato in un paese — il paese in cui hanno sede — funzionerà in modo identico quando entrano in un nuovo mercato.
Però bisogna tener presente che il digitale riduce le barriere geografiche ma non annulla le differenze culturali tra mercati.
La trasformazione digitale, infatti, offre nuove modalità per accelerare i processi di internazionalizzazione, approfondire la conoscenza del mercato e migliorare le relazioni con il target ma poi — come afferma Campagnolo — resta in capo all’impresa la capacità di analizzare e “sfruttare” tali differenze a proprio vantaggio.
La ricerca Be International, Be digital
Viste le premesse in cui il digitale debba essere sempre un mezzo e mai il fine dell’internazionalizzazione, vediamo quali sono gli ambiti in cui può avere un impatto significativo.
Li ha analizzati nel dettaglio la ricerca Be International, Be Digital realizzata dal CUOA Business School in partnership con Tonucci&Partners e Bonucchi associati srl. Dall’intervista di dieci aziende del territorio con una forte presenza internazionale, sono emerse alcune evidenze legate alla trasformazione digitale. Il digitale può:
● abilitare la scalabilità internazionale del modello di business (ad es. l’automazione può portare ad allungare la shelf-life del prodotto)
● abilitare processi di internazionalizzazione consapevoli (pensiamo al ruolo del digitale e del marketing digitale in particolare, nella raccolta di informazioni e nell’adattamento della propria proposizione a target differenti)
● rendere oggettiva l’esigenza di adattamento locale, assicurando una migliore integrazione lungo la filiera con dati oggettivi e condivisi
● essere complementare alla presenza diretta (l’integrazione e la mediazione tra canali aumenta l’efficacia di intervento)
● incidere sulle modalità di ingresso perché favorisce la condivisione di informazioni con clienti e fornitori (ad esempio, la creazione di magazzini virtuali potrebbe rendere superflua l’apertura di filiali logistiche)
● favorire relazioni collaborative tra filiali e HQ perché facilita una condivisione limit-less nello sviluppo di progetti.
Su quest’ultimo punto, condividiamo il racconto del nostro CTO, Francesco Clabot, su come il digitale faciliti una condivisione limit-less.
Digitale e gestione dei progetti
La protagonista di questa storia di trasformazione digitale è una multinazionale che opera nel settore chimico-farmaceutico, con diversi hub di coordinamento sparsi tra Europa, Centro America e Asia.
Da sempre i progetti sono per loro uno strumento di monitoraggio per verificare il raggiungimento degli obiettivi aziendali. Per questo motivo hanno un ruolo centrale nella gestione dei rapporti con le filiali.
Alle review che venivano organizzate con cadenza periodica, non c’era però uniformità. Ogni referente usava un format informativo (strutture, KPI ecc.) legato a un suo retaggio personale e culturale ed era praticamente impossibile leggere in maniera univoca i dati. Fare confronti o analizzare gli scostamenti. Quello che mancava era una visione d’insieme su come venivano gestiti il budget e le operations legate ai progetti.
Il management ha quindi spinto per una soluzione che permettesse di gestire i rapporti tra HQ e filiali senza cadere nella discrezionalità. Tentativi di standardizzare i processi erano stati fatti in passato (riunioni, documentazione ecc.), ma l’adozione di pratiche condivise dipendeva in ogni caso dalla sensibilità dei singoli referenti, che potevano rivederle o applicarle secondo il loro mind-set.
Come ha raccontato il nostro CTO nel corso del webinar di presentazione della ricerca “Be International, Be Digital”, il digitale in questo caso è stato determinante. La multinazionale ha adottato una piattaforma software condivisa che vincolava gli utenti responsabili della gestione del budget e dei progetti alla compilazione di campi precompilati, secondo processi ridisegnati e definiti a monte con il management.
I singoli referenti di progetto dovevano obbligatoriamente “seguire” il flusso imposto dal software, inserendo informazioni, step ed evoluzioni relativi ai progetti in modo univoco. In questo modo il management si è trovato ad avere un unico metodo di interlocuzione condivisibile a tutte le filiali che rendeva possibile comprendere in tempo reale l’andamento dei progetti.
Quello appena spiegato è un esempio di come la trasformazione digitale possa essere determinante nella definizione della strategia aziendale: tramite un’analisi globale e non più parcellizzata per singoli progetti locali, è possibile capire se un progetto è da considerarsi strategico o meno.
Non solo, il digitale può contribuire a fare una revisione dei processi: non si tratta semplicemente di trasportare online flussi che prima erano analogici, ma di rivederli secondo logiche di efficienza ed efficacia, eliminando quei colli di bottiglia e quei passaggi ridondanti che inevitabilmente avvenivano nella comunicazione tra filiali.