In che modo l’IT può creare modelli innovativi di Service Management da applicare all’intera azienda con lo scopo di ridurre la dispersione nell’erogazione dei servizi.
Sono finiti i tempi in cui il prodotto da solo trainava le vendite, ora siamo immersi nel mondo del servizio, dove la relazione tra l’organizzazione e il cliente è parte integrante dell’offerta del prodotto.
In un modello di business orientato ai servizi (service-centric), infatti, la fornitura di servizi (monitoraggio, riparazione, manutenzione, smaltimento ecc.) supporta i prodotti esistenti aumentando ulteriormente i ricavi e crea una relazione continuativa con il cliente. Non è un approccio one-shot, come può essere quello legato alla vendita del prodotto, che si fonda sulla sola transazione.
Questa premessa è per mettere in luce una verità: le aziende sono organizzazioni fondate sui servizi. Esistono due tipologie di servizi:
Il servizio, quindi, rientra sia nelle finalità del business, sia nel loro supporto. Pensiamo a tutti i servizi erogati da funzioni aziendali come HR, Facility Management, IT, AFC, il cui compito è proprio quello di assicurare la continuità del business.
Quando parliamo di servizi, non possiamo prescindere dai processi che sono necessari a produrli.
Nel tempo e con l’esperienza, le aziende arrivano a definire dei modelli o patterns, ovvero delle procedure consolidate che definiscono come erogare i servizi. Per ogni processo viene indicato, in presenza di determinati input scatenati da triggers, quali sono i ruoli, le responsabilità, gli strumenti, le linee guida, le attività e le risorse da prevedere per produrre gli output richiesti.
I processi vengono sviluppati secondo determinati canoni (Accountable, Measurable, Trackable e Deliverable) e misurati costantemente perché le aziende ritengono che siano la chiave di volta della loro strategia, dato che permettono di quantificare il tempo e gli investimenti necessari per raggiungere i loro obiettivi.
C’è però una puntualizzazione da fare. I processi esistono per produrre i servizi, ma è il servizio che delivera uno specifico risultato al cliente o allo stakeholder. Possiamo dire quindi che i processi sono ortogonali ai servizi, ovvero un processo può collaborare alla creazione di più servizi e un servizio può richiedere l’attivazione di più processi. Ma allora perché le aziende misurano i processi e non i servizi?
L’obiettivo dell’organizzazione, infatti, è erogare servizi di qualità, che sono quelli che il cliente vuole e per cui paga. Dovrebbe quindi misurare i servizi, ma nella pratica è troppo impegnata a misurare le performance di processo. Ciò porta a uno scostamento: con la sola ownership di processo, non è in grado di mettere in relazione l’efficienza dei processi con i risultati attesi, che è quello che interessa davvero al cliente.
La catena del valore del servizio è molto più complessa di quello che pensiamo. Tipicamente siamo portati a pensare a un’organizzazione interna che innesca dei processi che producono i servizi di business utili al cliente finale.
In realtà, abbiamo una “ragnatela” di servizi che vengono prodotti e consumati. Ogni dipartimento consuma servizi prodotti da altri dipartimenti o fornitori esterni per produrre servizi che saranno consumati da altri dipartimenti o dal cliente finale.
Quando questi servizi sono orientati all’esterno, le aziende lavorano molto sulla Customer Centricity. Per ogni servizio si intersecano e si combinano più processi che sono gestiti da funzioni diverse, ma con un unico scopo: soddisfare le aspettative del cliente.
Pensiamo a una realtà del settore Energy&Utilies: la parte commerciale si occupa della definizione del contratto, AFC della rendicontazione delle bollette, Customer Care di gestire segnalazioni non conformi… Un solo servizio attiva workflow diversi, ma il cliente ha la sensazione di parlare con un unico referente: l’Azienda, ovvero il Service Provider. Non esistono silos di processo: tutto viene tracciato, misurato e migliorato in funzione della soddisfazione del cliente.
Per quanto riguarda i clienti interni, ovvero i dipendenti, la situazione che si viene a creare è quella di entropia. L’efficienza dei processi non viene messa in relazione con la qualità del servizio erogato. Cosa succede?
Nel richiedere un servizio che coinvolge più funzioni aziendali, il dipendente deve rapportarsi con interfacce diverse per innescare i relativi processi. Facciamo un esempio: un processo di onboarding può coinvolgere diversi dipartimenti, tra cui HR, Facility, AFC. La persona coinvolta deve chiamare l’IT perché gli attivino l’account aziendale, mandare una mail ad AFC con i dati relativi alla busta paga, sentire HR per beneficiare del programma Welfare.
Queste funzioni hanno ben strutturato i loro processi e usano KPI per misurarli, ma quando ci sono servizi che prevedono di combinare questi processi, l’utente deve utilizzare canali di comunicazione destrutturati (telefono, mail ecc.). Il fatto di non poter tracciare e misurare la combinazione di processi nel loro insieme (il servizio) non permette di individuare i fattori critici di miglioramento.
Questa situazione di entropia interna si riflette poi nell’erogazione dei servizi al cliente finale. Pensateci bene, il dipendente è il primo attore dei processi di erogazione dei servizi. Quali sono le conseguenze?
Se il dipendente perde tempo a gestire la sua operatività quotidiana e a organizzare internamente i servizi che lo supportano nel suo lavoro, avrà meno tempo a disposizione per ottimizzare gli output legati ai processi che lo vedono coinvolto.
Se il doversi barcamenare tra più interfacce e soggetti (il centralino, le mail ecc.) non soddisfa le sue aspettative nei confronti dell’azienda, la sua motivazione sarà più bassa e ciò si rifletterà sulla qualità dei servizi erogati.
La necessità di doversi organizzare autonomamente porterà allo spreco di preziose ore-uomo che potrebbero essere impiegate in modi più redditizi.
Bisogna quindi prevedere delle pratiche di Service Management (gestione dei servizi) che siano in grado di ridurre la dispersione interna.
L’IT ha fatto scuola nel Service Management. Già quarant’anni fa, in risposta all’esigenza di strutturare la gestione dei servizi IT, ormai parte integrante del normale funzionamento aziendale, erano state delineate in Inghilterra le prime linee guida ITIL.
ITIL, infatti, è un insieme di best-practices che riguardano l’erogazione dei servizi IT. Le prime versioni di questo framework erano asset-centric, ma dal 2007 sono state riviste per essere portate ad essere service-centric.
Ora siamo alla versione v4 ma l’evoluzione non si arresta: il framework ha continuato ad adattarsi alle esigenze di business mappando non più processi, bensì singole practice in un’ottica di valore, fino ad arrivare al concetto di Enterprise Service Management (ESM).
Si tratta di un modello di Service Management che applica i principi e la tecnologia della gestione dei servizi IT a contesti non IT (Legal, HR, Marketing ecc.) per aggiungere disciplina, metodologia formalizzata e automazione al modo in cui i reparti non IT forniscono servizi ai clienti interni.
Quanto più comodo non sarebbe chiedere un servizio sfruttando lo stesso tipo di portale self-service utilizzato per aprire un ticket di help desk IT? E sfruttare le logiche di strutturazione dei processi e di misurazione degli SLA già consolidate dall’IT? I casi d’uso possono variare da azienda ad azienda, ma i contesti in cui si possono applicare hanno dei denominatori comuni:
Un ruolo determinante nell’adozione ESM a livello universale lo hanno avuto alcuni trend evidenziati da una recente ricerca:
Negli ultimi due anni, Enterprise Management Associates (EMA) ha condotto ricerche sul campo con oltre 600 leader IT sulla relazione ESM-ITSM: «L’uso di persone, processi e piattaforme ITSM a supporto di funzioni non IT ha risultati quasi universalmente positivi» ha affermato l’analista EMA Valerie O’Connell.
In particolare, ci sono degli ambiti in cui si presta particolarmente: nella gestione di servizi legali (sviluppo contratti, approvazioni legali, consulenza ecc.), nella gestione delle strutture (fornitura delle attrezzature, approvazioni ecc.), nel Marketing (supporto a team distribuiti con risorse e materiale ecc.) e in HR (onboarding, applicazione e comunicazione delle policy, approvazione ferie e permessi ecc.)
Ma nel concreto, ovvero quando si tratta di servizi non IT, come deve essere strutturata l’erogazione dei servizi aziendali?
Abbiamo detto che la gestione dei servizi aziendali ha lo scopo di facilitare i flussi di lavoro e le responsabilità delle varie funzioni aziendali coinvolte. Il modo migliore per farlo è appoggiarsi a una Service Single Point of Contact (SPOC), ovvero una singola interfaccia per gestire le richieste e l’erogazione dei servizi.
L’utente non deve più preoccuparsi di innescare i singoli processi necessari per produrre il servizio, ma semplicemente richiedere il servizio e sarà la tecnologia a mettere in relazione i processi e le approvazioni delle varie funzioni aziendali per produrlo.
I vantaggi possono essere molteplici:
La responsabilità di attivare la Service Single Point of Contact deve essere in carico all’IT. Perché? Il fatto che le best-practices in ambito Service Management siano nate all’interno della gestione dei servizi IT non è l’unico motivo.
Negli ultimi anni, le aziende hanno informatizzato i loro processi all’interno di strumenti (ERP, CRM ecc.) per facilitare una più veloce integrazione e lettura delle informazioni. L’IT ha la responsabilità di garantire la disponibilità e la continuità di questi sistemi.
Fatte queste due premesse, possiamo arrivare a una conclusione fondamentale: l’IT è al centro dei processi aziendali. Ne ha la piena governance, perché tutti i processi – ormai digitalizzati – passano per l’IT. Ma a questo punto, due sono le strade che si aprono davanti all’IT. Può subire la trasformazione digitale o guidarla.
Mero centro di costo o innovatore? L’IT è una funzione che potrebbe essere business-critical, che non rientra in una sola gestione operativa ma anche strategica.
In WEGG, azienda di consulenza IT per cui ho seguito diversi progetti di trasformazione digitale, adottiamo uno specifico approccio per migliorare la gestione dei servizi nelle aziende nostre clienti. Quattro sono le aree su cui interveniamo:
Il primo passo è misurare tutti gli elementi critici nell’erogazione dei servizi con una Service Performance Audit. Questo documento è il punto di partenza per prevedere eventuali scenari di ottimizzazione e progettare soluzioni ad hoc per una gestione strutturata delle richieste.
Nel corso della nostra analisi, identifichiamo se ci sono processi manuali e ripetitivi che sono automatizzabili su vasta scala con il supporto della tecnologia (AI e bot). Anche la collazione di dati è un processo manuale e ripetitivo: ottimizziamo anche i processi di data-mining per un migliore decision-making.
Verifichiamo se i sistemi di misurazione dei processi sono correlabili ai risultati attesi e se non è così prevediamo soluzioni che rendono disponibili i dati by design. Rileviamo eventuali inefficienze e colli di bottiglia per un re-design dei processi in chiave funzionale.
Infine, lavoriamo per migliorare le tempistiche e la qualità percepita del servizio portando i processi su una Service Single Point of Contact, che semplifica la vita agli utenti e guida l’innovazione in azienda.
Come abbiamo accennato nell’ultimo punto, alla fase di analisi e progettazione segue una “messa a terra” dei processi su una Service Single Point of Contact. Quanto definito a quattro mani tra consulente e cliente, viene “traslato” su una piattaforma software facilmente fruibile agli utenti finali.
Ci appoggiamo a tecnologie ESM universalmente riconosciute: siamo infatti partner di Ivanti e Easyvista, presenti nel Magic Quadrant di Gartner per le tecnologie di Service Management. Ivanti, in particolare, è leader globale di soluzioni ESM automatizzate, con dei moduli verticalizzati su singole funzioni aziendali.
Per darvi un’idea più chiara di come è strutturata una Service Single Point of Contact, vi porto l’esempio di un progetto che abbiamo seguito da vicino, che prevedeva la creazione di un Employee Self-Service Portal.
Protagonista è una nota azienda italiana attiva nel settore dei servizi integrati. Essa voleva digitalizzare i processi HR per i suoi 28mila dipendenti, in modo da semplificare la gestione delle richieste da parte degli utenti e l’erogazione dei servizi, che coinvolgevano altre funzioni aziendali.
Lo scopo del progetto non era solo la dematerializzazione dei processi (quindi eliminare carta), ma soprattutto ottimizzare i tempi di evasione delle richieste visto che la dispersione che si veniva a creare portava rallentamenti nell’erogazione del servizio e di conseguenza insoddisfazione.
Puoi vederlo in funzione qui.
Come consulenti esperti di trasformazione digitale, abbiamo aiutato l’azienda a creare una singola interfaccia HR dove, con un semplice collegamento tramite pc o telefono, i dipendenti potevano autonomamente selezionare il servizio richiesto – ottenere la busta paga, il TFR, fare domanda di borsa di studio, richiedere malattia ecc. – monitorare l’avanzamento della richiesta e ottenere rapidamente il servizio, senza più doversi preoccupare di coinvolgere altre funzioni aziendali per la gestione di dati non strettamente legati ad HR (ad es. la busta paga).
Quali sono stati gli elementi differenzianti?
Abbiamo inserito un concetto di automazione
* Articolo di Francesco Clabot – Docente di IT Service Management all’università di Padova e CTO di WEGG, [email protected] tratto dallo speech all’evento Richmond IT Director Forum organizzato da Richmond Italia il 15 e 16 novembre 2021.
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