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Digitalizzazione business-driven o technology-driven: qual è l’approccio migliore?

In che modo il digitale può diventare un sistema di apprendimento continuo che dà una marcia in più al business? 

In modelli di business sempre più service-centric, dove la relazione tra l’organizzazione e il cliente (incluso quello interno, il dipendente) è parte integrante dell’offerta, qual è il ruolo della trasformazione digitale nell’evoluzione delle aziende? 

Nel modello di valutazione della maturità di una “service organization” realizzato da KPMG nel 1998 (e ripreso da USM), abbiamo una scala di fornitura di valore che ha come punto di partenza un approccio “technology-driven” e come punto di arrivo un approccio “business-driven”.  

La differenza è sostanziale: è meglio guidare la tecnologia (business-driven) o farsi guidare dalla tecnologia (technology driven) nella fornitura di valore?  

Prendiamo come esempio un utente che compra uno smartphone: se trova nuove funzionalità che non aveva nel telefono precedente, le impara facendosi guidare dalla tecnologia. Matura il suo livello di competenza, indotto da uno stimolo tecnologico esterno. Ma quante funzionalità restano nel limbo perché non realmente necessarie?  

Nella mia esperienza, ho visto che l’approccio tecnologico va per la maggiore nelle aziende. Molte realtà si stanno innovando prese dal timore di restare indietro e perdere competitività. Guardano a ciò che funziona sul mercato e lo replicano, in una vera e propria corsa all’ultima tecnologia, nella speranza che sia una formula efficace anche per loro. 

Il punto è che le aziende non scelgono quello che è giusto per loro e le loro persone: ci sono dei processi unici, consolidati e affinati in anni di storia, che vengono adattati e adeguati a pre-lavorati tecnologici. Ma un pre-lavorato non potrà mai essere un sistema di apprendimento.  

Il digitale come sistema di apprendimento

Le aziende digitalizzano i loro processi ma non tengono conto di un aspetto importante. Il vantaggio principale di una filiera digitale è legato alla possibilità di raccogliere dati. Se ci limitiamo a usare sistemi generici, non avremo mai una visione di dove vogliamo arrivare.

Dobbiamo sapere cosa misurare e come misurarlo: dai processi digitalizzati possiamo identificare tendenze, colli di bottiglia, insight per innovare i loro prodotti e servizi. In una parola migliorare il business. Ed è questo l’approccio business-driven: conoscere i propri processi e valorizzarli attraverso la tecnologia.

Per rimanere in tema di esempi, pensate all’app mobile di una banca, a quell’innovazione che ha permesso di cambiare il modello di erogazione di servizi della banca inizialmente basati sulla filiale di prossimità riducendo drasticamente i costi e aumentando la percezione della qualità del servizio, la comodità per tutti i suoi utenti. Questa app non è nata perché “già disponibile sul mercato”, on the shelf,  ma perché la banca si è chiesta cosa doveva fare per operare questo cambiamento; la banca è partita dall’esigenza e solo poi è andata a prendersi la tecnologia. 

Prima di rendere agili i propri processi, ci sono però degli aspetti di gestione e controllo da non tralasciare. In un universo in cui tutto deve essere connesso – sensori, sistemi, dati – per abilitare la forza lavoro da remoto e raccogliere informazioni, la gestione del patrimonio IT e delle postazioni di lavoro non può presentare incertezze.  

La digitalizzazione è inefficace senza gestione e controllo

Siamo arrivati a un punto in cui ogni singola unità aziendale sviluppa progetti di trasformazione digitale in piena autonomia di spesa. Nei budget si leggono con frequenza sempre maggiore voci di spesa dedicate all’acquisto e alla fornitura di asset e servizi IT, siano essi fisici o virtuali, per innovare l’azienda.

A fronte di cospicui investimenti, manca la capacità di monitorare quello che è stato acquistatoè adeguato all’uso? È conforme all’uso previsto da contratto? Sappiamo della sua esistenza e delle condizioni in cui versa per prendere le opportune misure di prevenzione e tutela? Abbiamo sempre una visione olistica di tutte le iniziative evolutive della nostra azienda? 

Diverse aziende lamentano di non avere budget sufficiente da destinare ai progetti di innovazione, senza considerare che, statistiche alla mano, il 30% della spesa per le licenze software potrebbe essere ottimizzato per inutilizzi o piani di abbonamento eccessivi. O che nella loro migrazione al cloud o nella fruizione di servizi in abbonamento stanno pagando più del dovuto. O peggio ancora, subiscono perdite economiche per le vulnerabilità sfruttate di applicativi non tracciati.   

Tutte queste situazioni hanno un impatto sui progetti di trasformazione digitale: sprechi e costi non preventivati bloccano risorse che potrebbero essere investite in modi più intelligenti e l’operatività può essere minacciata in ogni momento da interruzioni non previste per rischi alla sicurezza.  

L’innovazione passa anche per il lavoro agile

Oltre agli asset gestiti direttamente dall’azienda, abbiamo anche una moltitudine di device personali dei dipendenti che accedono alle risorse aziendali. I dipendenti vogliono poter lavorare in modo flessibile da remoto, utilizzando qualsiasi dispositivo sia comodo per loro, sia esso lo smartphone, il tablet, il laptop ecc… E vogliono trovare tutto quello che serve per lavorare. Le stesse configurazioni, gli stessi applicativi… 

La trasformazione digitale passa anche per la postazione di lavoro moderna: servono postazioni configurate, funzionanti e sicure per accedere agli strumenti e ai servizi digitali. Ma l’ingresso dei dispositivi BYOD ha aggiunto complessità e i team IT non riescono a scalare.  

L’utilizzo di strumenti di collaborazione da remoto non è sufficiente per abilitare il lavoro agile: servono policy di accesso, misure di sicurezza, strumenti di inventariazione e di monitoraggio delle criticità, strumenti di connettività sicuri, sistemi per l’assistenza tempestiva da remoto. Tutti elementi che è impensabile gestire manualmente, intervenendo su ogni singolo device.  

La strategia di WEGG 

Come realizziamo il supporto a 360° alla trasformazione digitale?

La nostra strategia passa per tre punti:  

  • Creiamo il contesto per l’innovazione, attraverso la gestione e il controllo della spesa IT [IT ASSET MANAGEMENT]

Assicuriamo la piena visibilità sul patrimonio IT (HW, SW, cloud) per riuscire a rilevare sprechi, situazioni non conformi e opportunità di ottimizzazione. Questo ci permette di avere sempre risorse da investire in progetti di trasformazione digitale e avere la piena coscienza delle vulnerabilità che possono minacciare il nostro ambiente.

Abilitiamo una gestione uniforme, centralizzata e sicura delle postazioni da remoto. Creiamo le condizioni per il lavoro agile, facilitando l’accesso alle risorse aziendali e facendo in modo che non si verifichino malfunzionamenti o blocchi alla produttività.

Se le condizioni precedenti sono state soddisfatte, possiamo valorizzare i processi e i servizi aziendali tramite la tecnologia, rendendoli fruibili alle persone da ovunque si connettano. Il vantaggio è quello di poter completare, con il supporto dell’automazione, attività e richieste nel modo più semplice ed efficiente e allo stesso tempo misurare e migliorare in ogni momento i KPI con l’identificazione di colli di bottiglia e la valutazione real-time della qualità percepita.

Il valore della nostra consulenza sta proprio nella capacità di preparare le aziende alla trasformazione digitale e renderle business-driven con una digitalizzazione dei processi che permetta un sistema di apprendimento continuo.

*Articolo a firma di Francesco Clabot, CTO di WEGG e docente di IT Service Management all’Università di Padova.

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