Se avete introdotto il cloud in azienda o state per farlo, potreste avere inefficienze e costi di cui non vi rendete conto. Nell’articolo i 10 segnali che rivelano quando è il caso di cambiare modalità di gestione.
Al giorno d’oggi molte componenti chiave dell’IT sono disponibili a consumo, sotto forma di servizio (as-a-Service).
Server, applicazioni, piattaforme, infrastrutture… nel gestire il cloud, l’approccio che va per la maggiore è quello reattivo, ovvero si richiedono risorse e si sviluppano soluzioni per problemi specifici man mano che si presentano.
Ma la mancanza di visibilità e standardizzazione di questi ambienti, che si accavallano a quelli onpremise e spesso si dividono su più cloud provider, espongono l’azienda a inefficienze, rischi e costi evitabili.
Paradossalmente è più semplice chiedere nuove risorse che gestire quelle esistenti!
Senza una visione completa e coerente della propria infrastruttura, infatti, diventa difficile ripartire consumi e spese e individuare le aree di ottimizzazione.
Come si fa a capire se la gestione del cloud in azienda richiede un approccio diverso?
Ci sono dieci segnali che, se presenti, ci devono mettere in allarme perché la gestione del cloud rischia di essere meno produttiva e più dispendiosa rispetto al suo vero valore.
Distribuire nuovi carichi di lavoro porta via molto tempo e spesso si fa fatica a rientrare nelle tempistiche concordate con il business per lo sviluppo di nuove applicazioni e infrastrutture.
Se spostare applicazioni e dati tra le risorse cloud pubbliche e on-premise richiede tempi lunghi, state vivendo un’esperienza di gestione caotica e complessa.
Se quando arriva la fattura mensile da parte dei cloud provider siete in difficoltà a giustificare le spese e a individuare le singole voci di costo, uno dei motivi potrebbe essere legato ai carichi di lavoro “zombie”.
Il cloud computing è spesso lodato per la sua facilità di acquisto e attivazione, ma è un attimo che le spese vadano fuori controllo. Ci possono essere, infatti, dei carichi di lavoro avviati e poi dimenticati. Che sono a tutti gli effetti morti, senza alcun valore per l’IT.
Tuttavia, quando si perdono nella confusione, possono prendere una vita propria perché, anche se non vengono più usati, li si continua a pagare. Senza un monitoraggio costante e una pianificazione dell’alimentazione è difficile accorgersene.
“Attivami un server web”, “Riavvia questa macchina per me”, “Aggiungi un disco a questo carico di lavoro”.
Quanto spesso le vostre attività sono interrotte da richieste degli utenti?
Approvazione, provisioning, disattivazione… Sono task che portano via tempo e che potrebbero essere ottimizzate. Inserire l’automazione nella gestione del ciclo di vita delle risorse virtuali ridurrebbe il tempo di provisioning e libererebbe il team da attività a basso valore aggiunto.
Ma l’incoerenza degli ambienti e degli approcci non ve lo rende possibile.
Senza build standardizzate, vi trovate a dover risolvere spesso problemi causati da configurazioni non coerenti.
Sviluppatori e cloud architect costruiscono applicazioni e infrastrutture sfruttando tecnologie cloud-native. Ma nel farlo non sempre seguono gli standard di conformità richiesti e potrebbero esporre gli ambienti a rischi di sicurezza.
Senza uniformità, fate fatica ad avere una governance efficace del cloud.
Un catalogo di servizi con offerte standardizzate e il provisioning automatizzato secondo le policy aziendali potrebbero garantire la coerenza e la conformità, nonché liberarvi dagli interventi in risoluzione di queste problematiche.
Con il termine shadow IT si fa riferimento a quelle tecnologie in uso senza che l’IT le abbia approvate o sappia che sono in esecuzione.
Può capitare, infatti, che un dipendente che necessita di accedere immediatamente a un servizio web specifico lo faccia senza affrontare i passaggi necessari per ottenere la tecnologia attraverso i canali ufficiali IT.
Ad esempio, non c’è alcun cloud privato disponibile che fornisce IaaS velocemente come AWS o Azure, per cui, se non avete il modo di tracciare queste attivazioni non autorizzate, vi potete trovare presto a non avere alcun controllo dello shadow IT nel cloud pubblico.
È un mito da sfatare, non sempre il cloud pubblico è più economico. In alcuni casi lo sarà, in altri casi sarà più conveniente affidarsi alla propria infrastruttura onpremise. Come minimo, è necessario presentare i dati.
Se mancano dei meccanismi che offrono visibilità e informazioni ai dipartimenti sull’uso e sulle spese delle risorse IT, non riuscite a educare gli utilizzatori del cloud a un consumo consapevole.
Con cloud e onpremise che si accavallano, vi trovate con una crescita esponenziale di sistemi IT separati da gestire e supportare.
Ci sono sistemi di misurazione per ogni ambiente, ma le metriche vanno raccordare e uniformate e spesso il calcolo delle risorse viene fatto in modo approssimativo.
Una vista unica sui consumi e sui costi potrebbe aiutarvi a prevenire l’over-provisioning e fornirebbe informazioni agli utenti IT per prendere decisioni corrette sulle risorse per i loro carichi di lavoro applicabili.
In questo modo è possibile fare un giusto rightsizing.
Tra carichi di lavoro “zombie” e risorse sovradimensionate, vi riesce difficile stilare il budget e pianificare gli acquisti.
Vi basate soprattutto sulla rendicontazione finale, ma vorreste ottimizzare l’uso di tutte le risorse attuali e future in tempo reale. In particolar modo, un centro dati virtuale potrebbe spingere i vostri team di sviluppo a controllare i loro consumi e a regolarsi di conseguenza.
Anche senza chargeback, il loro comportamento cambierà quando vedranno che 8 CPU costano più di 2.
Il cloud ibrido è il futuro.
Ma se non c’è una gestione uniforme delle risorse cloud pubbliche e private, gli ambienti gestiti separatamente aumentano il rischio di falle nella sicurezza e creano processi ridondanti.
Se manca la standardizzazione, ovvero se ogni soluzione non è ottimizzata per funzionare con le altre, difficilmente riuscirete a trarre valore da questo modello di distribuzione.
Passare a un modello self-service implica una profonda trasformazione organizzativa.
Ma se non avete la giusta architettura di gestione da affiancare ai processi di automazione, rischiate di non completare appieno questa transizione.
Se avete colto uno o più segnali, è giunto il momento di rivedere il vostro approccio.
Ma quali strategie e strumenti bisogna considerare per ottimizzare la gestione del cloud? Esse rientrano sotto il “cappello” di FinOps (Cloud Financial Management).
Per dirla in breve, si tratta di un modello olistico che permette di governare la variabilità dei costi e dei consumi del cloud e dei propri ambienti IT. Onpremise, ibridi, multi-cloud.
In WEGG abbiamo esperienza di cultura, pratiche e strumenti FinOps (Cloud Financial Management) e possiamo aiutarti a:
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